Come evitare gli stereotipi quando scrivi un personaggio

Qualche giorno fa è mancato mio nonno, mentre parlavo e scrivevo di lui ho pensato a qualcosa che – come spesso capita – parte dalla vita e può diventare una riflessione più ampia sulla scrittura e la narrazione. 

In particolare, la riflessione mi è venuta dal fatto che esistono due stereotipi intorno alla figura del nonno: uno esiste nella vita, nei racconti dei nipoti e uno esiste nei prodotti di fiction – libri, film, serie. Uno stereotipo vuole il nonno come una persona mite, silenziosa, indulgente, fragile. L’altro stereotipo, soprattutto derivato dai film, vuole i nonni come anziani di età ma allo stesso tempo dalla personalità molto moderna, con un’apertura mentale che non dico sia impossibile, ma è quantomeno improbabile per una persona nata negli anni ’30-’40. 

Se il secondo stereotipo deriva da una necessità strettamente narrativa di intrattenere lo spettatore, il primo stereotipo viene secondo me sia dalle storie della nostra cultura sia da una superficiale conoscenza dei nonni (intesi come individui) che hanno frequentemente i nipoti. 

Chiediamoci infatti: quanto spesso un nipote adulto vede il nonno per più delle due ore della cena in tempo di feste in cui gli argomenti di conversazione sono sempre gli stessi (come va la scuola?/come va il lavoro?, come sta la fidanzata?/come sta la moglie?)? Quante volte parla con il nonno a tu per tu del suo passato, della sua vita, dei suoi interessi e non si finisce invece in una conversazione collettiva in cui, se va bene, al nonno si parla come a una persona molto lenta di comprendonio, e quando va male egli assiste silenzioso ai discorsi degli altri?

Ecco, non voglio dire che un nonno non possa essere effettivamente un uomo pacato, docile e saggio, dico che, a sentirne parlare dai nipoti, tutti i nonni sembrano corrispondere a uno di questi stereotipil’uomo mite e benevolo o l’uomo più moderno di quello che ti aspetteresti.

Chiunque, invece, abbia passato abbastanza tempo con il proprio nonno e abbia coltivato una relazione più intima e prolungata difficilmente penserà che suo nonno rientri in queste categorie o, meglio, rientri solo in queste categorie.

Gli stereotipi nascono da percorsi facilitati nella nostra mente, dal fare aderire una persona a un’immagine che abbiamo già in mente e che abbiamo già in mente perché per tutta la vita, sin da quando siamo piccoli, ci viene raccontata in quel modo.

Bene, ora ti starai chiedendo: tutta questa lunga introduzione cosa c’entra con la scrittura?

C’entra che mi ha fatto tornare in mente quando gli autori con cui lavoro tendono a scrivere personaggi stereotipati nei loro ruoli, ad esempio: la madre tutta casa, cucina e amore per i figli; il superiore nel lavoro avaro ed egoista; il nonno mite e fragile.
Quando accade, a volte consiglio agli autori di preparare una scheda del personaggio dove soffermarsi a pensare e a scrivere una caratterizzazione approfondita del personaggio in oggetto. Non necessariamente tutti i dettagli che si deciderà di inserire nella scheda andranno utilizzati all’interno del romanzo, ma servono a fargli pensare (e di conseguenza scrivere) il personaggio come una persona reale, quindi con sfaccettature, zone grigie e soprattutto lontana dai luoghi comuni che appiattiscono la personalità del soggetto.

Quando chiedo di preparare una scheda-personaggio, però, spesso gli autori inesperti non fanno che perdersi in dettagli di scarsa importanza e reiterare le stesse idee stereotipate, credendo così di migliorare la loro conoscenza del personaggio (o semplicemente assolvere un compito che gli ho dato), ma si ritrovano con una scheda che riflette espedienti banali.

Esempio di come non dovrebbe essere fatta una scheda-personaggio sul nonno:

Graziano è il nonno della protagonista, Arianna. Graziano ha 87 anni, ha pochi capelli bianchi, ha gli occhi castani e il naso grosso. È una persona buona, generosa, tranquilla, perlopiù silenziosa, quando parla però dimostra molta saggezza perché nella sua vita ne ha viste tante. Indossa una coppola e fuma la pipa. È sempre pronto a dire parole gentili ad Arianna e stravede per lei. Saprà dire le giuste parole di conforto quando Arianna si lascerà con Marco, raccontandole del primo amore perso in gioventù e facendole capire che la vita, anche se non sembra, va avanti dopo una rottura.

Questa scheda non funziona perché ci dice di Graziano poche cose (quelle indispensabili al suo ruolo nel romanzo) e sono tutte caratteristiche che ci aspetteremmo da un nonno perché fanno parte di una narrazione comune, che difficilmente si discosta dall’immaginario popolare sul nonno-modello. Ma l’immaginario comune, seppur nasce da una base di verità, difficilmente saprà restituire la complessità di una persona reale, cioè quello che deve fare un buon romanzo.

Come ho detto, quando un o una nipote passa molto tempo con il nonno, ha ben presente che, seppur il nonno sia una persona perlopiù gentile, ha magari dei lati ruvidi del carattere, dei momenti in cui si è comportato male con noi o con qualcun altro, una mentalità chiusa tipica di un uomo che è fermo a un’educazione dei sentimenti e delle relazioni di settant’anni fa. Non è raro che un nonno se interrogato su questioni sociali sia un po’ sessista o ragioni con una mentalità da padre-padrone o da uomo che ha vissuto in un’altra epoca dove le priorità erano diverse. 

Tutto questo difficilmente esce fuori nel manoscritto al primo tentativo perché difficilmente si tiene conto della complessità degli esseri umani. Peggio ancora, non viene fuori perché l’autore sente che non conviene: se mi serve che il nonno sia una persona a cui la protagonista vuole bene (magari in contrapposizione a genitori assenti), deve essere un personaggio positivo a tutto tondo, perché se il nonno del mio romanzo si dimostra un po’ sessista, le parole sagge con cui conforterà la protagonista perderanno di potenza. Questo pensa l’autore inesperto.

L’autore esperto invece sa che proprio i chiaroscuri del personaggio, le sue contraddizioni, le sfumature della sua personalità, lo rendono tridimensionale, realistico, complesso, in una parola: verosimile. Soprattutto vicino ai veri nonni che alcuni nipoti hanno davvero conosciuto bene (magari proprio perché in contrapposizione a genitori assenti).

È per questo che da una scheda-personaggio anziché un patchwork di luoghi comuni come nell’esempio precedente, mi aspetto caratteristiche uniche, individuali, che possono essere solo di quel signore – nato in una certa terra, in un certo anno, che ha nella sua vita dato importanza a certe cose – e non di qualsiasi nonno sulla faccia della Terra. Ciò che lo differenzia da tutti gli altri è proprio ciò che ha valore.

Solo quando da una scheda-personaggio potrò avere l’impressione di avere davanti aspetti di una personalità vera, complessa, originale e irripetibile, saprò di avere davanti una scheda-personaggio utile. 

Per esempio, se dovessi scrivere una scheda-personaggio di un personaggio che prenda ispirazione da mio nonno non la scriverei così:

Si chiamava Graziano, era il padre di mia madre, aveva 87 anni, aveva la pancia, aveva i capelli bianchi, era una persona saggia, più moderna di quello che sarebbe potuta sembrare.

Anche se in teoria ho scritto tutte cose vere, sono dettagli che non lo differenziano da qualsiasi altra persona o da un certo cliché del nonno. Se quello che scrivi non è un insieme di peculiarità appartenenti solo al tuo personaggio, solo a quell’essere umano in quella precisa storia connotata in quello spazio-tempo e in quella famiglia, allora non stai facendo bene il lavoro e probabilmente stai trasformando il personaggio in un prototipo standard.

Come si scrive invece una scheda-personaggio per non cadere in facili stereotipi? Come detto, presentando il personaggio con un insieme di tratti che possono essere solo suoi, specifici.

Per esempio una scheda-personaggio che prenda ispirazione da mio nonno la scriverei, invece, così:
 

Graziano non era una persona mite, misurata, fragile. Graziano era un marcantonio di un metro e ottanta, da giovane bello e slanciato come un attore, dopo i sessanta si era appesantito e la stazza ingombrante aumentava la sua presenza, fisica e psicologica. 

Graziano era arrivato a ottantasette anni senza essersi fatto piegare la schiena dall’età; come ci teneva a sottolineare sua moglie: “Non si è mai curvato”. Graziano aveva un vocione alto di tono e profondo di volume, intonato quando cantava come non lo era più stato nessuno nella sua discendenza. Leggeva tutti i giorni almeno tre giornali e aveva una conoscenza della storia, della politica e della storia politica italiana che difficilmente si poteva riscontrare in altre persone, e ancor meno si riscontrava in qualcuno che avesse meno della terza media come lui. Graziano aveva delle idee politiche e sociali molto precise e si può dire che non le difendeva con forza e vigore, più che altro le decantava. Graziano era autoritario e autorevole. Graziano ti zittiva con uno sguardo dritto e serio, che tu fossi il nipote o uno sconosciuto, e metteva sempre un po’ di soggezione ai bambini. Graziano era un perfetto padrone di casa, e da perfetto padrone di casa era tanto ospite generoso quanto sovrano dispotico.

Graziano aveva una religione: il comunismo; e una fede: la sua bravura a pinella, un tipico gioco di carte sardo. Su entrambi i fronti ti tirava in mezzo appena la situazione lo permetteva e ti stracciava con la sua conoscenza e con la forza della sua espressività. A pinella giocava per sé e per te, nel senso che, anche se giocavi contro di lui, quando scartavi una carta ti diceva se avevi fatto bene o male a scartarla (spesso era male) perché lui seguiva così attentamente il gioco da intuire che carte avessi in mano e da sapere se la tua decisione strategica era stata intelligente o stupida. 

Qualcuno che avesse saputo solo questo di lui avrebbe potuto immaginarlo come un orso arcigno, sempre a rimbrottare, e invece era tutto il contrario: Graziano era divertente e solare, con la battuta prontissima e vivace. Ti sgridava e sdrammatizzava con un occhiolino. Alzava la voce e poi, rivolgendosi alla moglie, diceva: “Eh, ma lei lo sa che sono così appassionato, ma mica ce l’ho con lei”, e quando lei rispondeva: “Ma la bambina non capisce”, lui ribatteva con la sua cadenza sarda: “Già capisce, mi conosce”. Non si scusava mai a te, si scusava con te parlando alla moglie. I suoi parenti erano convinti che il detto: “dire a nuora perché suocera intenda” l’avessero coniato per lui, ma nel suo caso il parlare con Tizia al posto di Caia era sempre declinato al positivo, un modo per abbassare i toni e far tornare la pace senza mai chiedere scusa direttamente: il suo ego non glielo permetteva.

Graziano, comunque, perlopiù era sereno e curioso.

Era stato il primo, quando la nipote aveva avuto dodici anni o poco più, a chiederle conto delle sue idee sociali e politiche. Non si schierava d’accordo o contrario a lei, la interrogava. “Perché la pensi così?” chiedeva e lei spiegava. Era stato il primo a darle una dignità politica in un’età in cui le sue idee erano prese per qualcosa da poco: l’opinione di una dodicenne. Invece lui no, aveva massimo rispetto per le convinzioni personali di tutti, anche per quelle di una ragazzina. Voleva discuterne, voleva che capisse sempre anche l’altra parte della questione. La sua era un’attività filosofica, nello specifico sofista: ogni verità era una forma di conoscenza soggettiva. Ogni volta che lei prendeva le parti di un’istanza, lui le spiegava le ragioni di quella opposta. 

Eppure questo non lo rendeva uno per cui: “Tutti hanno ragione quindi nessuno ha ragione”, non lo portava a farsi gli affari suoi. Graziano non era un ignavo, anzi si potrebbe dire che nel dizionario dei sinonimi e dei contrari, sotto la voce “contrario di ignavo”, c’era la foto di Graziano. Sempre schierato, sempre di parte, sempre parolacce contro il politico al telegiornale mentre elencava le sue vicende processuali di cui deteneva una conoscenza enciclopedica, ma mai sordo all’altra parte.

Graziano era poi un uomo innamoratissimo di sua moglie. Graziano aveva dato alla nipote una nonna che non le toccava, ma per cui gli sarebbe per sempre stata grata. Egli si era separato dalla prima moglie (la madre delle figlie) prima che nascessero i suoi nipoti, e poi si era risposato con Anna che, da quando i nipoti erano nati, era diventata la loro terza nonna. Se Graziano non l’avesse sposata, Anna non sarebbe stata parente della nipote: una grande perdita di bellezza per la sua vita. Anna era una persona rara, probabilmente unica. Generosa, sensibile, capace di poesia. Graziano le voleva molto bene e i suoi eccessi di temperamento venivano sempre quietati da quella donna alta la metà di lui che con la calma dei giusti lo sgridava amorevolmente e, spesso, con sottile sarcasmo.

Era difficile pensare a due persone più diverse di indole ed era difficile pensare a due persone che più si erano volute bene.

Questa scheda-personaggio può essere ovviamente allungata e arricchita, così come non tutto ciò che è dentro questa scheda-personaggio deve per forza essere utilizzata all’interno del romanzo, ma è fondamentale averla in mente perché nel momento in cui l’autore scrive di Graziano all’interno di una scena, deve tenere presente le sue caratteristiche mentre l’uomo parla, agisce, si muove e reagisce alle situazioni che gli si presentano. Solo questo permetterà a Graziano di non essere un ruolo, uno stereotipo, ma una persona viva sulla carta.

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