L’uso degli ausiliari: hanno vissuto o sono vissuti?

Rispondi a queste domande: si dice “hanno vissuto” o “sono vissuti”?
“Oggi ha piovuto” o “oggi è piovuto”?
“Sono dovuto partire”o “ho dovuto partire”?
Se ti sei fermato più volte a riflettere prima di rispondere, questo è l’articolo che fa per te.
Chiariamo una volta per tutte come funzionano gli ausiliari e perché spesso si può discutere ore con un amico se si dica “non ha servito a niente” o “non è servito a niente”, senza che nessuno arretri di un passo.
Mi faccio aiutare nell’esposizione da Luca Serianni, che, in un leggero volume intitolato “Prima lezione di grammatica”, pubblicato nella raccolta “Biblioteca della lingua italiana,” ci informa che, a parte i verbi con ausiliari stabili (“sei partito”, “hai camminato”), di solito intuitivi per un madrelingua, in alcuni casi lo stesso verbo può ammettere sia essere sia avere senza che si possa risalire a una norma chiara. Tra questi troviamo alcuni verbi utilizzati tra i miei esempi (sì, c’era il trucco), come vivere, piovere, servire (a):

[La Spagna] vive e ha vissuto men dell’Italia (Leopardi)
Non parlo degli altri che sono vissuti e vivono (sempre Leopardi)
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la paglia che ha servito da letto per quattr’anni al mio povero cane (Collodi)
quel profumo è servito come imbalsamatura (Capuana)
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Oggi ha piovuto (Tozzi).
È piovuto in cantina anche oggi (sempre Tozzi)

Non pare che nell’italiano contemporaneo siano in atto tendenze evolutive su questo argomento.
Mentre, al contrario, c’è un altro settore in cui si nota un certo dinamismo del verbo avere rispetto al verbo essere, e si tratta dell’ausiliare richiesto da un verbo servile seguito dall’infinito.
I verbi servili, dovere, potere, volere, sono chiamati così perché spesso servono ad altri verbi per completarne il significato (ad esempio: “io devo partire”, “io voglio partire”, “io posso partire”). I verbi servili ci pongono però un problema: nei tempi composti, come per esempio il passato prossimo, vogliono l’ausiliare essere o l’ausiliare avere quando sono al servizio dell’infinito di un altro verbo? In sostanza, si deve dire “ho dovuto andare” oppure “sono dovuto andare”?


La regola vuole che l’ausiliare sia quello dell’infinito (perciò “sono dovuto andare” perché “sono andato”); ma aggiungono che, se il verbo retto è intransitivo, è possibile l’ausiliare avere (quindi: “ho dovuto partire”). A quanto sembra, avere è in espansione. A sostenere questa teoria con esempi di scrittori contemporanei ci ha pensato Luciano Satta, linguista, critico e giornalista, nel suo “Matita rossa e blu”, pubblicato da Bompiani. Per riportarne solo alcuni:

“Avrebbe dovuto andare” (Maraini).
“Avrebbe potuto diventare” (Civati).
“Avrebbe dovuto venire” (Eco).
“Avrebbe potuto nascere” (La Capria).

Sono dati che dovrebbero essere confermati da indagini specifiche su giornali o su campioni di italiano parlato. Ma se la tendenza fosse effettivamente questa, le ragioni potrebbero essere tre (due indicate da Satta e una da Serianni):

  • L’uso di avere elimina l’onere dell’accordo (“Le donne sarebbero dovute andare”/”Le donne avrebbero dovuto andare”): la direzione è quindi quella di una semplificazione morfosintattica.
  • Il verbo servile da solo vuole avere e tende a imporre questa decisione anche nel caso in cui regga un infinito (“Ho cercato di arrivare in tempo, ma non ho potuto”, diventa “Non ho potuto arrivare in tempo”).
  • Il verbo avere è già obbligatorio quando l’infinito è combinato con un pronome atono (“Non ho potuto andarci”, mentre se il pronome atono è anteposto, si dovrebbe utilizzare la regola generale che impone l’uso di essere: “Non ci sono potuto andare”).

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