La recensione di Barbie il film: narrazione, criticità e polemiche

La mia video-recensione del film Barbie: se preferisci ascoltare anziché leggere.



“Sono un uomo senza alcun potere, questo fa di me una donna?”
(Barbie, 2023, Greta Gerwig)

Barbie è uscito ed è interessante parlarne

È uscito “Barbie”, ed è già un successo. Anche se non si è cinefili o fan della bambola più famosa al mondo è difficile non essere a conoscenza dell’uscita del film, dato il marketing spinto che l’ha preceduta. Io l’ho atteso e visto. Questa è una recensione di Barbie, il film.

La recensione però non parlerà di ogni dettaglio del film Barbie. Regia, fotografia, costumi, scenografia li lascio commentare ad altri in altri luoghi, siccome sono un’editor qui parliamo di narrazione.

Non solo la narrazione interna al film, ma anche la narrazione intorno al film, a partire dalla narrazione nell’attesa del film fino al dibattito sulla narrazione femminista (o capitalista?) della pellicola.

Articolo spoiler free

In questo post non ci saranno spoiler sugli eventi di trama del film, ma sicuramente parleremo dei temi affrontati da Barbie: ci serve per poter fare un discorso di senso logico. Dunque se ancora non hai visto il film e proprio non vuoi sapere nulla di quello che ti aspetta, questo è il punto in cui ti devi fermare.

Narrazione nell’attesa: perché ci è stato detto così poco della trama prima dell’uscita del film

Inizierei parlando della narrazione nell’attesa dell’uscita del film. È stata una scelta chiaramente studiata quella di svelare il meno possibile della trama del film già dal trailer, ma poi in ogni intervista del cast durante il lungo tour di promozione, in cui era palese l’intenzione della produzione – e possiamo immaginare ancora prima della regista – di non svelare di cosa parlasse esattamente il film Barbie. Le immagini trasmesse del film sono quelle in cui Barbie si trova a Barbieland, immersa nel rosa e nelle bambole, e sì, si capisce che andrà a un certo punto nel mondo reale, ma i temi del film vengono tenuti nascosti.

Aspettative sul film

A questo punto le aspettative sul film Barbie si sono distribuite in due filoni molto netti: da una parte chi conosceva la regista Greta Gerwing e il suo cinema, e sapeva benissimo che un suo film su Barbie non sarebbe stato solo un endorsement al marchio, ma avrebbe avuto una vena critica e femminista esplicita (io facevo parte di questo filone). Dall’altra chi non conosceva la regista e pensava di andare a vedere una commedia sulla bambola Barbie divertente e leggera, sicuramente senza un grande impegno intellettuale, sulla scia dei live action del Re Leone o del film dei Transformers.

Siccome sono certa che sia molto più nutrito il gruppo di persone che non ha idea di chi sia Greta Gerwing (anche perché la sua filmografia come regista è recente e limitata), credo che la stragrande maggioranza delle persone sia andata e andrà a vedere Barbie pensando di vedere solo qualcosa di divertente e luccicante … senza sbagliare, Barbie è in effetti un film che fa del voler essere divertente e luccicante la sua cifra stilistica, dalla scenografia ai costumi, dalla regia alla recitazione. Anche il citazionismo è talmente sopra le righe e buffo da non dare indizi sulle intenzioni della regista. Eppure, c’è un dato inequivocabile: Barbie è un film femminista, nelle intenzioni e nell’esecuzione. Il film fa del femminismo il cardine della sua narrazione.

Qual è l’obiettivo della parsimonia di informazioni durante la promozione?

Ma qual era l’obiettivo di questa narrazione promozionale parsimoniosa di informazioni? Io credo fosse di portare più gente possibile al cinema, anche quella che avrebbe evitato volentieri di vedere un film etichettato come “femminista”, e di stupire lo spettatore sprovveduto, anzi più probabilmente la spettatrice sprovveduta. 

Se lo spettatore avesse saputo da subito che si sarebbe trovato davanti a un film femminista o non sarebbe andato a vederlo (perché il cinema ormai coincide sempre di più con intrattenimento intellettualmente poco impegnativo, basta vedere come i film Marvel siano ormai gli unici a portare le persone in sala) o sarebbe andato a vederlo avendo le aspettative sul tema femminista tarate altissime e forse ne sarebbe stato deluso.

In questo modo, con questa segretezza rispetto alla trama e ai valori che avrebbe portato sugli schermi, Barbie il film è riuscito nel suo obiettivo (ovvero parlare di femminismo e patriarcato in modo pop) senza scontentare né chi aveva voglia di rosa e divertimento – e lo ha avuto – né chi conoscendo Gerwing, sperava e si aspettava un film di critica sociale sul rapporto tra generi – e lo ha avuto.

Pregi della narrazione del film

Parlando invece della narrazione del film, ho promesso di non fare spoiler e non li farò.

Sarò dunque breve: il film come storia, come opera d’arte presa nella sua purezza, funziona ed è ben progettato. L’idea di partenza è originale: Barbie non è né una persona vera all’interno dell’universo narrativo del film né un giocattolo che “punta a diventare una persona vera”. Nell’incipit ci troviamo in una sorta di mondo delle idee platonico in cui esiste una Barbie per ogni modello mai prodotto dalla Mattel e Barbie, o meglio le Barbie, non solo sono perfettamente coscienti di essere bambole, quindi prodotti in vendita in un lontano “mondo reale”, ma sono felici di esserlo. Convinte di aver portato autodeterminazione e femminismo nel modo vero, sono pienamente soddisfatte del loro ruolo.

La crisi inizia quando Barbie stereotipo (la Barbie più Barbie di tutte, quella a cui pensi quando qualcuno nomina la parola “Barbie”) si accorge di avere pensieri di morte. Questi pensieri la porteranno ad avere delle ricadute sul suo perfetto aspetto estetico e, di conseguenza, ad andare nel mondo reale per risolvere il problema. Non proseguirò oltre nel raccontare la trama, dico solo che la consequenzialità degli eventi funziona bene, le battute sono genuinamente divertenti, il ritmo è vivace e c’è quel tanto di azione da non annoiare mai; all’ultima parte del film viene affidato il compito di consegnarci in modo esplicito il messaggio di Greta Gerwig, ovvero quanto sia difficile essere donna in una società gestita da e concepita per gli uomini e quanto sarebbe bello se potessimo essere solo donne, rispettate in quanto esseri umani senza niente da dover dimostrare (non le più brave, le più intelligenti, le più belle), senza uno sguardo maschile da dover compiacere. Il film, in soldoni, invita le donne a essere orgogliose di essere donne. 

Sulla possibile e conseguente “guerra tra generi” uomini contro donne, Gerwing cerca di dare una risposta – va detto: un po’ frettolosa e semplicistica – girando le soluzioni per Barbie a Ken. Ken che soffre in Barbieland lo stesso ruolo subordinato e marginalizzato che le donne soffrono nel mondo reale, il ruolo di ancella. A lui Gerwing dice che anche Ken deve essere solo Ken e trovare in sé stesso il valore, non nella fidanzata né negli oggetti che possiede… né nei cavalli. 

Criticità della narrazione del film

In cosa allora Barbie, come narrazione artistica, quindi come opera d’arte, pecca? A mio avviso nell’essere eccessivamente didascalica nella parte finale. Gerwing non lascia intendere il suo messaggio, non lo fa trasparire dalla storia, ce lo dice papale papale. Ci dice: “Questo è bianco e questo è nero”, “Questo va bene e questo non va bene”. Lo fa dire alle Barbie, ma in pratica sta impartendo una vera e propria lezione di femminismo alla spettatrice. Giusto o sbagliato? A mio avviso un’opera d’arte non deve mai avere una manifestazione didattica così eccessiva all’interno della trama, e il precedente “Lady Brid”, sempre di Gerwing, non era affatto così strettamente pedagogico; ma è chiaro che Gerwing qui vuole essere anche didattica. Intaccando però la purezza di un film che fosse stato un pelo meno pedante nella parte finale avrebbe sfiorato la perfetta mescolanza di intrattenimento e profondità.

Barbie è sessista contro gli uomini?

La terza parte di questa recensione di Barbie sui generis non può non toccare le due critiche alla vocazione femminista del film.

La prima critica che viene mossa al film è che Ken, ovvero il semi-protagonista maschile (in realtà c’è una sola vera protagonista: Barbie), ha un ruolo inferiore e asservito a Barbie. E in generale tutto ciò che ruota intorno a Ken è ridicolo e svilito, con l’intenzione di umiliare gli uomini come genere.

Che venga mossa questa critica al film è, a mio parere, davvero ironico dato che è chiarissimo nella trama stessa che Ken rappresenta in Barbieland ciò che le donne rappresentano nel mondo reale. Ken ha un ruolo subordinato a Barbie, esattamente come le donne hanno un ruolo subordinato agli uomini (le donne nel film vengono mostrate come segretarie, assistenti, cameriere; gli uomini sono dirigenti, CEO, responsabili).

Tutto ciò che riguarda Ken è ridicolo e svilito e svilente esattamente come tutto ciò che riguarda le donne – il rosa, il trucco, i vestiti, l’emotività, la femminilità in generale – è spesso ridicolo e svilito e svilente agli occhi degli uomini nella realtà.

E se non sei d’accordo, pensa a come reagirebbe un uomo se gli si dicesse che “combatte come una donna”.

Dunque che Ken risulti sempre un gradino più in basso di Barbie sono le fondamenta del film. Sia a livello di mera trama: Barbie è la beniamina delle bambine, è la loro proiezione futura e il soggetto delle loro fantasie, Ken è “solo Ken”, soffre di un sentimento di inferiorità e questo lo porta a ribellarsi e quindi a creare un conflitto nella storia. Sia a livello di simbolismo: Ken è in Barbieland ciò che la donna è nel mondo reale.

Barbie è un film femminista o capitalista?

La seconda critica è la seguente: in Barbie è il capitalismo il cavallo di troia del femminismo o è il femminismo il cavallo di troia del capitalismo? Chi sta sfruttando chi per arrivare allo spettatore o alla spettatrice?

Barbie capitalista: obiettivo vendere

Vediamo le possibili risposte: Barbie il film, con la sua vena femminista, indubbiamente aiuta la Mattel – l’azienda produttrice della Barbie – a riposizionare nell’immaginario collettivo la bambola che vende. Sappiamo che da tempo e per tanto tempo Barbie, la bambola, viene condannata perché inculca stereotipi di bellezza irraggiungibili nelle bambine. Barbie infatti è alta, magra, con gambe chilometriche e capelli fluenti, seno prosperoso e vitino inesistente. Oltretutto non fa che consolidare standard di bellezza che corrispondo all’estetica della parte di popolazione mondiale dominante: la Barbie classica è bianca, bionda e con gli occhi azzurri.

Già da diversi anni la Mattel sta cercando di rispondere a queste accuse producendo Barbie più simili alle donne “vere” e dedica delle collezioni a persona che fanno parte di minoranze; tuttavia questo film mira a essere la vera punta di diamante del rebranding del marchio. Non solo perché ci presenta la Barbie come la bambola adulta che sottrae le bambine ai giochi che le vogliono solo madri e casalinghe; ma anche perché Barbie è la protagonista del film, è dolce, sensibile e intelligente, e ovviamente non possiamo che empatizzare con lei e con il suo desiderio di rendere libere e indipendenti tutte le bambine del mondo vero.

Alla fine del film, la protagonista Barbie ci piace, a Barbie vogliamo bene e la percepiamo come l’eroina contro il patriarcato. E per essere stata considerata fino a oggi una delle peggiori nemiche delle bambine con la sua estetica plastica e perfetta è un bel salto in avanti, anzi direi un ribaltamento nel modo in cui viene percepita.

Inoltre l’azienda Mattel nel film viene sì presa in giro (è rappresentata da un gruppo dirigenziale formato da soli uomini), ma è un’ironia gentile, e il film non va mai a scardinare completamente il suo potere. Anzi, lo rende buffo, simpatico, un po’ scemotto. Ne riduce la forza e la violenza di corporation ricca e potente. Il CEO, nel film, a un certo punto potrebbe scegliere Ken come prodotto leader, farebbe i soldi lo stesso, ma ci tiene che rimanga Barbie il modello delle bambine. Ha quindi una sua etica, e il film gliela attesta. 

Insomma Barbie il film migliora l’immagine dell’azienda Mattel e, non ultimo come importanza, contribuisce a far vendere Barbie e gadget a tema.

Barbie femminista: obiettivo formare

D’altra parte qualcuno dice che grazie a un argomento e a una protagonista così popolare e mainstream come Barbie, le persone – e specialmente le ragazze molto giovani – andranno a vedere il film attratte dal nome conosciuto e dai colori sgargianti del film e si troveranno davanti a una lezione di femminismo, una lezione chiara e divertente, che probabilmente le aiuterà a formare un pezzettino della loro personalità femminista. In questo caso, per queste persone, il gioco vale la candela. Grewing sfrutta il nome e il brand di Barbie per portare un messaggio fondamentale, e chi se ne frega se questo farà vendere altre bambole. L’ampia diffusione dei valori che permette il film vale più di mille femministe che parlano tra di loro in piccoli circoli di lettura di Simone de Beuvoir, senza raggiungere una sola quattordicenne in formazione.

Io credo che la ragione stia da entrambe le parti: Gerwing ha visto nel film l’occasione per far passare con una storia pop e un nome famosissimo ideali che a lei stanno a cuore; l’azienda Mattel ha visto nel film l’occasione per riposizionarsi sul mercato in modo moderno e femminista e fare ancora più soldi.

Se l’iniziativa sia da condannare in tutto o in parte, ognuno trarrà le sue conclusioni a seconda della sua sensibilità all’argomento.

Conclusioni

Siamo arrivati alla fine di questa recensione-analisi di Barbie, il film di Greta Gerwig. Se ti interessa un articolo simile, nel mio blog puoi trovarne uno (più breve!) sulla serie Strappare lungo i bordi di Zerocalcare e sul perché mi abbia deluso.

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