“Strappare lungo i bordi”, la nuova serie di Zerocalcare, non è un capolavoro: il danno della strada più facile

Premetto: sono grande fan di Zerocalcare. Ho letto tutti i suoi fumetti, ho letto moltissime delle strisce che pubblica nei vari giornali/riviste, leggo le sue interviste, ho visto i corti animati che ha pubblicato durante la pandemia. Sono tutto fuorché una che parla senza conoscere le opere di Zerocalcare. E poi: ho 32 anni, non sono sposata e non ho figli, ho vissuto la precarietà dei lavori con contratti ridicoli nei miei 20 anni, vivo oggi con il terrore degli accolli non richiesti e delle telefonate di lavoro la domenica, mi sento in colpa per tutto e mi faccio più paranoie di quelle che umanamente potrei sopportare, quindi: non sono in target per le sue narrazioni, di più. L’unica cosa che mi manca è essere nata a Rebibbia, poi forse sarei direttamente Zerocalcare. Però ora devo essere probabilmente l’unica voce furi dal coro a non gridare al capolavoro davanti alla sua serie Netflix “Strappare lungo i bordi”.

Per spiegare il motivo, scusate, ma la dovrò prendere un po’ larga. “La profezia dell’armadillo”, opera prima di Zerocalcare, è uscita nel 2011. È un insieme di tavole semi-autoconclusive che, messe insieme, raccontano una storia più ampia: questa inizia con la morte di Camille, un’amica di Zerocalcare negli anni dell’adolescenza, il suo primo amore mai concretizzato, e va a ritroso nei ricordi che la riguardano. Nel mezzo c’è tanta ironia e autoironia per una generazione che vive nel precariato lavorativo, sentimentale e familiare. Bene, questo è stato 10 anni fa per chi segue Zerocalcare dagli inizi. Nel 2018 è uscito il film, tratto dal fumetto, che raccontava la stessa storia, dunque i fan di Zerocalcare si sono rivisti questa storia a distanza di 7 anni. Oggi esce la serie “Strappare lungo i bordi” e… è di nuovo la stessa storia

Ci tengo a sottolineare: gli sketch comici sono differenti, quasi tutti nuovi, la serie è quindi divertente e piacevole anche per chi conosce “La profezia dell’armadillo” a memoria. Poi c’è poco da dire: la serie funziona. Funziona perché chi assomiglia a Zerocalcare ci si rivede ridendo e piangendo, funziona perché chi non assomiglia a Zerocalcare non può non voler bene a quel concentrato di insicurezze, autoironia e seghe mentali. 

Quindi, guardalo, soprattutto se non sei un lettore della prima ora dell’autore, però – se invece tu lo fossi – non potresti far a meno di chiederti: “Tutto qui? Di nuovo?”.

Nel 2011 Zerocalcare era uno sconosciuto, viveva dando ripetizioni ai ragazzini e facendo lavoretti precari; perlopiù gratuitamente disegnava manifesti, volantini e fumetti per le cause in cui credeva. La sua vita era quella e il modo in cui la raccontava, unita alla relazione con Camille che era portabandiera del: “Pensiamo che ci sia sempre da aspettare il momento giusto per fare una cosa mentre il tempo scivola via e a un certo punto non si torna più indietro”, funzionava benissimo. Era sincera, era vera. La morte di Camille era una pugnalata per il lettore, faceva soffrire, ma era necessaria a comprendere la verità che Zerocalcare voleva trasmettere con la sua opera e lo stesso Zerocalcare sembrava elaborare il dolore per il lutto attraverso la sua arte. 

Bene. Il tempo scorre, Zerocalcare pubblica un libro di fumetti dopo l’altro, tutti grandi successi, scrive strisce per tantissime riviste e quotidiani, diventa il fumettista più famoso d’Italia, apre le porte con il suo successo a un settore editoriale che è sempre stato di nicchia nel mercato italiano. Lui evolve, scrive storie molto diverse, parla di temi diversi, i suoi personaggi (penso a “Macerie prime”) sembrano evolversi con lui. Lo vediamo fare i conti con la sua nuova realtà, con un senso di colpa diverso, quello di chi è riuscito a fare dei fumetti un lavoro di successo, ci racconta come deve schivare le troppe richieste di contatti e lavoro, ci racconta come deve mantenere la bussola morale in un sistema che lo strattona e lo reclama, ecc. Ho letto diverse interviste in cui parla di quel primo libro e di Camille; di come a volte, nei suoi ricordi, la Camille vera si confonda con la Camille personaggio – la quale è per forza di cose una versione rivista, compressa, una traduzione che è anche un po’ tradimento della persona reale.

Bene. Ora facciamo un salto in avanti, siamo nel 2021, Zerocalcare, ricordiamolo, è il più famoso fumettista in Italia, vende più di 100.000 copie a fumetto, fa strisce per i maggiori gruppi editoriali, è ospite in programmi televisivi, festival, fiere, Netflix gli produce una serie. Ecco, questo Zerocalcare – per forza di cose – non può essere lo stesso Zerocalcare di dieci anni fa. 

Perché sceglie di scrivere una serie che è così simile alla sua opera prima? Perché sceglie di usare di nuovo come elemento narrativo che tiene insieme ed è allo stesso tempo moto e fine della sua storia la morte di un’amica che è in tutto simile a Camille come personaggio, se non che ha un altro nome? È come se Zerocalcare nella serie fosse tornato indietro. Lo Zerocalcare del 2011 che però non è più. 

Ovviamente non sono ingenua e mi so dare delle risposte di buon senso: 

1. Zerocalcare, per la sua prima serie animata, ha probabilmente scelto una storia in cui si trovava a suo agio. La stessa identica struttura, lo stesso messaggio, lo stesso arco narrativo di “La profezia dell’armadillo”. Anche i temi affrontati nelle parti comiche sono gli stessi, cambiano gli sketch, le battute, ma nel concetto rimangono uguali. 

2. La serie punta a un pubblico generalista, che magari incontra Zerocalcare e i suoi personaggi per la prima volta, per loro questa è una storia originale.

Però mi tocca dare anche delle risposte che non mi piacciono e che trovo altrettanto vere: 

1. Zerocalcare non ha voluto rischiare, mettersi in gioco con qualcosa di nuovo, non ha continuato a far evolvere i suoi personaggi e non ha voluto raccontare il sé del presente – fumettista di successo, personaggio richiesto da tutti, presumibilmente ricco – perché è un personaggio meno istintivamente amabile del Zerocalcare squattrinato e preso a schiaffi dalla forestale. 

2. La morte di Camille/Alice è un elemento narrativo forte, che fa soffrire e funziona, che funziona perché fa soffrire; è un elemento narrativo forte anche perché (più o meno) autobiografico e quindi in grado di toccare le corde giuste in chi guarda; ma, allo stesso tempo, nel 2021 possiamo presumere che non sia più stato scelto per elaborare e/o comunicare un lutto con la propria arte, ma perché riconosciuto solo come elemento narrativo funzionale, e questo fa perdere qualcosa alla storia.

Insomma, quello che a me dispiace è che Zerocalcare abbia scelto, per la sua serie, la strada più facile. Quella che gli avrebbe portato consensi anche (o soprattutto) da un pubblico che non lo conosceva. 

Se mi chiedete: “Ci sta commercialmente?”, certo che ci sta. Ovvio che ci sta. 

Ma se mi chiedete se ne sono soddisfatta come lettrice/spettatrice, la risposta è no. Mi aspettavo di più, un’ulteriore evoluzione. 

Una volta terminato non ho gridato al capolavoro, ho pensato: “Ma di nuovo la stessa storia?”

Non c’era qualcos’altro da raccontare?

La mia speranza è che Zerocalcare non diventi un autore che ripete sempre sé stesso, ma un sé stesso di 10 anni fa, pre-successo. Un po’ come quei rapper che dopo 15 anni dalla hit che li ha fatti diventare milionari, ancora rappano della vita di strada. Lo spero non perché non gli convenga commercialmente, ma perché sarebbe una narrazione falsa, o perlomeno falsata. Un riproponimento di qualcosa che non c’è più. Sarebbe l’ombra di una rappresentazione che assomiglia ma non è la verità. Come il mito della caverna di Platone, che viene citato anche nella serie.

Non mi sembrava questa la strada con “Macerie prime”, ma un po’ lo temo.

Fine della mia riflessione. Smetterò per questo di leggere le nuove opere di Zerocalcare? No. Sconsiglio per questo di vedere la nuova serie “Strappare lungo i bordi”? No. Quindi se a tutto questo rispondete con un romanissimo: “Non ti è piaciuto? E ‘sti cazzi” probabilmente avete ragione.